È una procedura chirurgica che permette di estrarre il feto attraverso un’incisione della parete addominale sopra il pube e dell’utero nella sua parte inferiore, meno vascolarizzata.

La durata dell’operazione oscilla tra il 25 e 45 minuti e dipende dalle difficoltà tecniche che si presentano.
Le indicazioni si distinguono in materne (ad esempio stenosi pelviche, gravi malattie sistemiche, tumori del piccolo bacino, grave stenosi del collo dell’utero e della vagina, fibromi e cistomi ovarici, carcinoma del collo dell’utero, condilomi acuminati in vagina, oppure inerzia uterina, discinesie e la primiparità in età avanzata), fetali (presentazione di spalla o podalica, eccessivo sviluppo, stati di sofferenza fetale, oppure in stato di agonia o subito dopo la morte della madre se il feto è ancora vivo) e degli annessi ovulari (placenta pervia, distacco prematuro della placenta, prolasso e brevità assoluta del cordone ombelicale).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte suggerito che solo il 10-15 per cento delle gravidanze dovrebbe sfociare in parto cesareo, limitandolo ai casi di posizionamento anomalo dell’utero, herpes genitale o altro impedimento che spieghi la scelta della procedura chirurgica, oppure in caso di elevato rischio per le madri o i nascituri.
Nessun dubbio sull’utilità del parto cesareo in questi casi, ma il parto vaginale rimane comunque la modalità preferibile e più corretta per portare a termine la gravidanza.
È da sottolineare che le donne che partoriscono con taglio cesareo spesso devono affrontare un ricovero più lungo, talvolta più doloroso e con più alto rischio di infezioni. Inoltre, studi recenti, che però aspettano conferma scientifica, suggeriscono che i neonati con parto cesareo avrebbero una maggiore probabilità di sviluppare problemi respiratori rispetto ai nati con parto vaginale.
La tendenza, soprattutto nel nostro Paese, a scegliere il parto con taglio cesareo può essere motivata più da esigenze organizzative che da indicazioni cliniche, sia da parte degli specialisti che da parte delle donne.
Un po’ di storia
Sull’origine del nome sono state fatte varie ipotesi. La prima deriva dalla cosiddetta lex Caesarea in quanto, ai tempi dei Romani, il taglio cesareo veniva utilizzato per estrarre il feto dalle donne decedute durante il travaglio. In alternativa il termine si attribuisce a Plinio il Vecchio, antenato di Cesare, che sarebbe nato proprio con questa procedura nel primo secolo d.C., oppure ancora farebbe riferimento al verbo caedere, che in latino significa ‘tagliare’, ma in questo caso il termine ‘taglio cesareo’ sarebbe pleonastico.
La sua introduzione sulle donne viventi risale al XIX secolo. Nel 1876, Edoardo Porro eseguì nella Clinica Ostetrica di Pavia l’incisione che portava ad una sostanziale riduzione della mortalità, ma anche all’asportazione dell’utero e quindi all’impossibilità per la donna di avere nuove gravidanze. La tecnica tuttora praticata è stata introdotta nel secolo scorso (1907) in Germania.