È diventato più che normale incontrare bambine vestite di tutto punto: stivaletti in camoscio, leggings, cardigan, borsetta, cintura e gioielli in pendant; lo smalto sulle unghie e il lucidalabbra sono ormai sdoganati, così come non fa più notizia la “piccolina”di 2-3 anni che tutte le mattine non accetta che sia un adulto ad imporle come vestirsi.
Il mondo della moda ha colto questa sostanziale inclinazione dell’infanzia ed ha creato linee d’abbigliamento bambino che altro non sono che la riduzione in scala della moda per adulti.
Le madri di fronte a simili comportamenti sono colte da sentimenti di ambivalenza: da una parte cotanta “personalità” le inorgoglisce (quasi si trattasse di una sorta di rivalsa al femminile), dall’altra le preoccupa perché non sanno cosa attendersi in un prossimo futuro.
Basta guardarsi intorno, infatti, per scoprire che tanta precocità troppo spesso si declina in un abbattimento delle successive tappe di sviluppo, così che lo stile di vita (e non solo il look) di una bambina di 11- 12 anni può confondersi con quello di una diciottenne con tutti i rischi connessi ad una simile degenerazione.
E così si rinnova l’amletico dubbio: è forse una forma di emancipazione dell’infanzia o piuttosto un consumismo inglobante che non risparmia nemmeno i bambini?
“I bambini imparano quello che vivono”, scriveva Dorothy L. Nolte in una celeberrima poesia e concludeva “Cosa vivono i vostri figli?”
Indubbiamente i bambini vivono l’esempio dei genitori e di quanti si prendono cura di loro: nonni, zii, babysitter, insegnanti, ma vivono anche di tanti e tanti cartoni animati.
Qualcuno penserà che chi scrive sia il solito detrattore ed obietterà che intere generazioni sono figlie della televisione, eppure una simile precocità non l’hanno mai manifestata.
È vero, ma c’è una differenza sostanziale tra i contenuti dei cartoni che trasmetteva “bim bum bam” e ciò che oggi il digitale, sky e quant’altro propongono.
Chi non ricorda Heidi, Anna dai capelli rossi o Pollon?
Nulla in comune con le Winx, le Witch o le Bratz. Le prime erano bambine al pari di chi le guardava, animate da sentimenti positivi quali l’amore, l’amicizia, il rispetto, le seconde sono invece adolescenti sexy, con tanto di fisico prorompente e in bella mostra.
Le Winx ad esempio, riproducono le fattezze di sex symbol di fama mondiale: così Bloom s’ispira a Britney Spears, Stella ricorda Cameron Diaz, Flora somiglia a Jennifer Lopez, Musa all’attrice cinese-americana Lucy Liu e così via. Ragazze bellissime ed emancipate che vivono storie di superpoteri e intrecci d’amore.
Nulla a che vedere con la piccola e paffutella Heidi che tra caprette, l’affetto per il nonno e l’amicizia per Peter era un mix di tenerezza e buoni sentimenti.
I personaggi dei cartoni animati sono diventate un brand per la costruzione di un merchandising che include tutto l’universo delle bambine, dal gioco all’abbigliamento, dagli articoli per la scuola agli accessori di ogni genere.
Che sia nato prima il marchio?
Difficile a dirsi, è però un dato che queste multinazionali fatturano cifre con tanti di quegli zeri che sono impossibili da leggere se non si ha una laurea in matematica!
E così le multinazionali hanno scoperto nel bambino un formidabile consumatore, resistente anche ad una crisi economica come quella che stiamo vivendo. Probabilmente anche a noi sarebbe piaciuto indossare le scarpe di Anna dai capelli rossi e la borsetta con il logo Pollon, ma all’epoca tutto questo non c’era: fortunata, era la mamma che decideva come dovevamo vestirci e a noi non restava altro che essere semplicemente delle bambine.

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