Introduzione a cura della dr.ssa Nicla Lattanzio
Famiglie ‘mutanti’, così le definisce oggi la pedagogia: sempre più fragili, instabili, deboli, sofferenti, rivoluzionarie. Le immagini che fanno parte degli scenari odierni, ci raccontano dinamiche familiari decisamente complesse e assai differenti da quelle appartenenti al passato; del resto la società globalizzata ha generato nuove urgenze, bisogni e necessità legate talvolta alle aspirazioni dei componenti (che si concretizzano cioè a livello individuale e interpersonale) e che vanno a sconvolgere fortemente le fondamenta della relazionalità familiare. Assistiamo quindi a scenari multiformi dove situazioni di crisi dettate dall’incapacità di adattamento ai cambiamenti provocano squilibrio, instabilità, disorientamento. In questo senso, numerosi sono gli interventi di welfare attuati all’ordine del giorno aventi lo specifico intento di delineare percorsi educativi per sostenere le famiglie e la mediazione si inserisce sicuramente tra questi. Si tratta di specifici interventi atti a favorire la risoluzione di conflitti familiari che tormentano e affliggono la coppia marito-moglie e padre-madre.
La pedagogia realizza e applica metodologie plurime e assai diverse tra loro, accomunate però dal pensiero di una gestione “non violenta” del conflitto, mirando a restituire al soggetto consapevolezza sul suo ruolo all’interno del contesto famiglia. Questo processo, definito empowerment, può risultare lungo e talvolta faticoso, richiede impegno e tempo ma racchiude in sé l’idea di rinnovamento della propria persona e garantisce la possibilità di comprendere e correggere i propri ’errori’, superando altresì la visione meramente distruttiva del fenomeno conflitto. Questo, in effetti, concepito come esperienza penosa per i diretti interessati viene rifuggito, negato, affossato fin quando le escalation conflittuali generano una vera e propria rottura della coppia, nella quale i tentativi di difendere le proprie posizioni e la propria integrità sono alquanto comuni e questo spiega perché in molti casi i contendenti creano delle barriere difficili da abbattere; spiega la rigidità dei contendenti; spiega la mancanza di dialogo e il desiderio di punire l’altro.
La pedagogia, usufruendo della mediazione familiare, rivede il concetto di conflitto e va alla ricerca di aspetti positivi appartenenti a quella coppia che non vuole più essere tale; vuole cercare nelle divergenze il suo punto di forza. Tuttavia bisogna chiarire che quando cessa la coppia uomo-donna/marito-moglie non muore di conseguenza quella padre-madre: smettere di essere coniugi non è smettere di essere genitori. È vero anche che accettare la rottura del legame sentimentale non è così immediato e spesso riversa i suoi sentimenti peggiori sul legame genitoriale.
Insieme alla dr.ssa Giordano, cerchiamo di capire meglio come intervenire in materia, usufruendo al meglio di quelle buone pratiche di conciliazione proprie della mediazione.
Negli ultimi tempi sta prendendo piede nel nostro sistema una crisi sociale particolarmente delicata poiché delicato è l’interesse leso. Sono troppi i divorzi e le separazioni che generano ferite assai ampie, conseguenze che ricadono in buona parte sui bambini che a causa dello sgretolarsi delle famiglie diventano oggetto di contesa tra i genitori. In questo ambito va rilevata una figura di nuova costituzione e come tale generatrice di numerose dispute dottrinali e giurisprudenziali, il mediatore familiare.

La mediazione familiare mediante l’intervento di un terzo neutrale ed imparziale, ha l’obiettivo di salvaguardare la responsabilità genitoriale individuale nei confronti dei figli specie se minori: è perciò diretta a ristabilire la co-genitorialità in seguito a una crisi familiare. La vera innovazione sta nel fatto che i genitori, seppure seguiti dal mediatore, si attivano in prima persona nella ricerca di un accordo che soddisfi entrambi e sia il più possibile rispondente ai bisogni della famiglia, senza che sia un giudice o un avvocato a farlo.
Spesso infatti gli accordi presi dinnanzi all’autorità giudiziaria non vengono rispettati perché imposti, gli accordi mediati invece, rispecchiando la volontà della parti, procurano un grado di soddisfazione tale da indurre i coniugi a rispettarli. Si tratta di accordi scritti e firmati dalle parti, diretti a conciliare le stesse sia da un punto di vista emotivo che da un punto di vista economico-giuricico (discutendo quindi sull’assunzione di impegni economici, sul mantenimento, sulla divisione dei beni ecc.).
Perciò la mediazione da un lato rende la coppia protagonista e fautrice dell’accordo raggiunto e dall’altro ristabilisce una comunicazione il più possibile funzionale al rispetto di se stessi e dei propri figli, sicché mediare talvolta significa educare poiché le parti prendendo coscienza dei loro problemi: in realtà sono proprio queste stesse che stabiliscono le problematiche da negoziare e dopo di che raggiungono un accordo verbale. In ogni caso affinché si ottengano risultati positivi dalla mediazione, è essenziale che alla base di tutto l’operato ci sia la collaborazione di diverse figure professionali: il mediatore deve essere affiancato, a seconda dei casi, da esperti quali lo psicologo, il pedagogista e dalla loro collaborazione scaturisce il successo della mediazione.

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