Molti farmaci assunti durante la gravidanza passano attraverso la barriera placentare raggiungendo l’embrione, con esposizione potenziale a effetti farmacologici e teratogeni.

Durante la gravidanza è quindi necessario valutare con attenzione l’assunzione di farmaci, in particolare nel I° trimestre.
Alcuni studi hanno evidenziato come l’assunzione di analgesici/antinfiammatori nelle prime settimane e tra la 7a e la 9a settimana aumenta il rischio di aborto.

I fattori critici che influenzano il passaggio transplacentare e portano potenziali rischi di danno al feto sono riconducibili al tipo di farmaco, alla dose assunta, alla distribuzione dei farmaci nei tessuti fetali, allo stadio di sviluppo della placenta (nel I° trimestre possono dare teratogenesi, ovvero malformazioni congenite, nel I e II trimestre possono alterare la crescita e lo sviluppo funzionale) e del fegato del feto, alla durata della terapia.

I farmaci liposolubili possono diffondere attraverso la placenta ed entrare nella circolazione fetale dalla vena ombelicale, ad esempio alcuni anestetici liposolubili utilizzati per il taglio cesareo danno effetto di sedazione nel neonato.
Nel caso degli anticoagulanti l’eparina è un farmaco elettivo rispetto al warfarin (coumadin®) che è teratogeno e non deve essere somministrato a partire dal I trimestre.
Il legame alle proteine plasmatiche, in particolare l’albumina materna, è maggiore ad esempio per i barbituri data la minore affinità per le proteine plasmatiche fetali.
I diuretici, l’aspirina a basso dosaggio, l’insulina, la somministrazione supplementare di acido folico e vitamine sono utilizzate dalla gestante rispettivamente per sopperire all’aumentato lavoro cardiaco, per il diabete gravidico, per ridurre l’incidenza di spina bifida.
Durante la vita intrauterina una sola esposizione al farmaco può alterare le strutture in rapido sviluppo, come il caso della focomelia di bambini le cui madri avevano assunto talidomide, ritirata dal commercio. L’alcool può indurre una sindrome alcolica fatale.

In gravidanza, dunque, i farmaci dovrebbero essere prescritti e assunti solo se i benefici per la madre sono maggiori dei rischi della salute del feto.

Secondo la Food and Drug Administration, i farmaci assunti in gravidanza sono classificabili in:

– Categoria A, quando non danno alcun rischio in studi su animali e in studi clinici controllati, ovvero in cui i volontari sono reclutati e monitorati prima, durante e dopo la somministrazione del farmaco. Solo pochi sono classificati in questa categoria, come alcune vitamine.

– Categoria B, se non danno rischio o danno accertato in studi su animali. Rientrano in questa categoria antibiotici molto utilizzati come la penicillina e l’eritromicina.

– Categoria C, se creano danni accertati in studi su animali e non sono disponibili studi clinici, pertanto è necessario valutare il rapporto rischio/ beneficio come la rifaximina, il trinetoprim, i chinoloni per rischio di emolisi nel III trimestre.

Nonostante rientri in tale categoria la zidovudina è consigliata in donne con HIV per prevenire il rischio di trasmissione dalla madre al feto.

– Categoria D, con rischio probabile che porta alla somministrazione solo se in pericolo di vita, come gli amminoglicosidi responsabili di tossicità vestibolare e cocleare negli ultimi 6 mesi.

– Categoria X, danni accertati da studi clinici e assolutamente controindicati come gli antitumorali.

 

Non esistono farmaci sicuri o tossici al 100% per il nascituro, nessun farmaco dovrebbe essere somministrato durante il I° trimestre e se necessario, quando non è possibile sospendere la terapia farmacologica, vanno privilegiati farmaci di uso consolidato.