Il valore terapeutico della musica è cosa quanto mai conosciuta e riconosciuta.

In particolar modo nei “Disturbi generalizzati dello sviluppo” come il Disturbo Autistico alla musicoterapia si ricorre sempre più spesso al fine di stabilire un primo contatto empatico con il piccolo paziente.
Tra i sintomi sicuramente più evidenti dell’autismo troviamo, da una parte, l’incapacità dei bambini di rapportarsi, nel modo usuale, alle persone e alle situazioni sin dai primi momenti della vita, percependo il mondo esterno come minaccioso e pericoloso, dall’altra parte, una compromissione del linguaggio verbale che può manifestarsi o mediante un’assenza totale dello stesso oppure attraverso un uso singolare o ritardato compreso il linguaggio gestuale e corporeo.
In questo è  la grande forza della musica intesa come “linguaggio universale e/o primordiale che riesce a superare la “impasse” delle parole, del linguaggio verbale, e di conseguenza, la diffidenza che esso provoca nello spirito del bambino tendenzialmente e profondamente “isolato”. L’orientamento musicoterapico nei confronti di tale disturbo è quello “dialettico” cifrato passepartout che “apre le porte” della psiche atipica del bambino autistico.
La profonda sensibilità e percezione che i bambini autistici mostrano nell’ascoltare determinate sonorità e determinati timbri, offrono la possibilità di aprire canali di comunicazione che permetteranno al musicoterapeuta di spianare un sentiero, per così dire, pionieristicamente, di un’anima ancora inesplorata e di percorrerlo successivamente veicolando messaggi sonori rassicuranti che consentiranno di passare alle fasi successive della dialettica terapeutica.
Il modello terapeutico scientificamente riconosciuto a cui si fa riferimento nel trattamento dell’autismo, è il “metodo Benenzon” che prevede l’applicazione di due fasi la cui durata dipende dal livello di gravità e dal deficit del bambino nelle diverse aree funzionali-cognitive.
La prima fase detta diagnostica prevede la compilazione della scheda di musicoterapia redatta sulla base di domande rivolte ai genitori (o familiari) del paziente relativamente al suo vissuto sonoro-musicale.
Si procede poi, con la ricerca dell’ ISO e dell’Oggetto Intermediario due presupposti fondamentali del metodo Benenzon.
L’ISO è l’identità sonora dell’ individuo che riassume il nostro vissuto sonoro intrauterino ed extrauterino e ci caratterizza differenziandoci l’uno dall’altro; l’Oggetto intermediario è uno strumento di comunicazione (che può essere un suono, una vibrazione, una vocalizzazione, uno strumento percussivo o melodico, un rumore etc..) in grado di agire terapeuticamente sul paziente in seno alla relazione senza dar vita a stati di intenso allarme.
La ricerca di entrambi avviene mediante “l’Inquadramento sonoro non verbale” che consiste nel sottoporre il soggetto di fronte ad una serie di strumenti percussivi e melodici al fine di favorire la sua espressione sonora, mimica, gestuale, nonché di registrare tutte le sue azioni/reazioni.
L’abilità del musicoterapeuta consiste nell’individuare la corretta identità sonora mediante quell’oggetto intermediario che diviene gradualmente il tramite dell’identità sonora stessa, elemento di confronto, integrazione e collaborazione tra paziente e terapista.
L’oggetto intermediario diviene strumento di relazione in grado di creare canali di comunicazione extrapsichici (coscienti -inconsci) ed intrapsichici e di fluidificare quelli stereotipati.
Si arriva, in questo modo, ad un livello di lavoro detto “regressivo” in cui il paziente è sottoposto a tutte quelle sonorità che riproducono l’ambiente sonoro intrauterino (suoni del battito cardiaco, suoni di inspirazione ed espirazione, rumori intestinali, movimenti intestinali.. etc) in rapporto con lo stato regressivo raggiunto, per produrre la rottura di “nodi difensivi” ed aprire canali di comunicazione.
La seconda fase, propriamente “terapeutica” è costituita da sedute in cui il paziente ed il musicoterapeuta operano attivamente, passando gradualmente dalla “relazione sonora” al “dialogo sonoro”. Quest’ultimo permetterà di raggiungere un livello di lavoro detto di “comunicazione” in cui il musicoterapeuta sfrutta quei canali di comunicazione precedentemente aperti rafforzandoli e rielaborandoli per instaurarne dei nuovi mediante un’interazione costante col soggetto.
Attraverso la stesura di determinati protocolli si procederà, successivamente, alla “valutazione e verifica” per identificare cambiamenti del paziente riguardo le diverse aree di intervento.
L’obiettivo finale sussiste nell’approdare ad un livello di lavoro definito di “integrazione” attraverso il quale le modalità comunicative acquisite, si dilateranno sia al gruppo familiare che all’ambiente circostante, compreso quello scolastico.